Cento Misteri - Delitto al teatro comunale
Di Massimiliano Santarelli
Prefazione
Sono qui davanti ad un foglio bianco, intento a scrivere il mio primo racconto o romanzo breve… o quello che sarà. Al momento non so nemmeno se ci sarà un editore disposto a pubblicarlo ma poco importa… al massimo finirà in un cassetto, per il piacere esclusivo del sottoscritto o magari potrei ricorrere ad uno dei tanti servizi di self publishing. In ogni caso, se qualcuno un giorno leggerà queste pagine, tengo a precisare una cosa: le avventure qui descritte sono veramente accadute, certo un po' romanzate, per proteggere la privacy dei protagonisti che le hanno vissute assieme a me e quindi mi perdonerete se troverete qualche asterisco al posto di un nome di luogo o di persona.
Inizio col presentarmi, mi chiamo Massimiliano Santarelli e vivo a Cento, cittadina in provincia di Ferrara.
Capitolo 1
All'epoca avevo quindici anni ed ero il classico tipo un po' scalmanato e posso dirlo, se non avessi fatto amicizia con Teo (questo è il soprannome che ho attribuito al mio amico, non potendo, per le ragioni che ho riportato prima, usare il suo vero nome) è molto probabile che oggi sarei quello che si dice un "poco di buono".
Conobbi Teo in prima superiore, all'Istituto Tecnico e, diciamola tutta, non ci eravamo "presi" subito bene. Quando vidi entrare Teo in classe, per la prima volta, ci fu nel suo aspetto di bravo ragazzo qualcosa che mi infastidì subito, non so bene cosa, fatto sta che si sedette nell'unico posto libero, proprio vicino a me. Stavo fumando una sigaretta (so bene che non si può ma all'epoca, perdonatemi, ero proprio un cattivo ragazzo come vi ho già detto) e gli soffiai tutto il fumo in faccia.
Con assoluta tranquillità, con una mossa di karate o di judo (non ho mai capito la differenza) mi mise praticamente per terra, tirandomi per i capelli.
Come abbiamo fatto a diventare amici? Proprio a causa di quello che vi ho raccontato: la sua disarmante tranquillità.
Perché parlo subito di Teo? Beh, è presto detto, fu lui il motore delle tante avventure che vivemmo da quel giorno in poi.
Ora non vi sto a raccontare come proseguirono quei primi giorni di scuola, che furono tutto sommato noiosi, ma posso senz'altro dire che dopo quell'iniziale "bisticcio" diventammo amici inseparabili e ora anche qualcosa di più… ma di questi dettagli vi racconterò poi in seguito.
Se non ci fosse stato lui, molto probabilmente avrei ripetuto la prima superiore per il secondo anno consecutivo. Ogni pomeriggio ero a casa sua a fare i compiti e studiare. A lui risultava tutto facile, io invece ci mettevo un po' più di tempo, tuttavia si era sempre dimostrato premuroso e paziente nei miei riguardi.
La mia non era certo una situazione familiare delle migliori: mio fratello era in carcere a Bologna per spaccio, mio padre quei pochi soldi che guadagnava come manovale in una cooperativa di facchinaggio se li spendeva ai videopoker e mia mamma, poveretta, sgobbava tutto il giorno come donna delle pulizie e badante. Mi ero deciso a mettermi sotto con gli studi proprio per lei e ricordo ancora il luccicore agli occhi quando le portai a casa la pagella del primo quadrimestre: nemmeno un'insufficienza e anzi, pure qualche "7", oltre all'immancabile "8" in educazione fisica. Fare sport mi era sempre piaciuto: non avendo soldi però per andare in palestra, mi allenavo a casa e di tanto in tanto andavo in piscina o a correre lungo l'argine.
A livello di famiglia pure Teo aveva qualcosa che gli pesava: era rimasto orfano di entrambi i genitori e viveva in un paesino vicino Cento, assieme al suo tutore, **********, che aveva giocato anni addietro in seria A, un ottimo amico dei suoi genitori.
Capitolo 2
Prima di entrare a scuola era obbligo fare colazione al bar della Bocciofila di Via Ugo Bassi: aveva i migliori bomboloni alla crema di tutta la città. Quando non faceva troppo freddo, ci si metteva sotto al gazebo nella zona estiva… insomma, non c'era miglior modo per iniziare la giornata. Quelli che marcavano il cartellino ogni mattina eravamo io e Teo, gli altri nostri compagni di classe, non tutti comunque, si alternavano, spesso però capitava che ci trovavamo solo io e lui e, in tutta sincerità, questo mi bastava.
Io i bomboloni li divoravo letteralmente (sempre due: uno alla crema e uno alla cioccolata) e poi l'immancabile sigaretta… e le occhiatacce che mi lanciava Teo: "Non ti si può guardare!" Mi diceva sempre, intento come, ogni mattina che il signore mandava in Terra, a leggere il giornale: se li passava tutti! Nuova Ferrara, Resto del Carlino, Gazzetta dello Sport. A volte capitava che qualche socio del circolo lasciasse sul tavolino, dal giorno prima, un qualsiasi altro quotidiano… Teo leggeva pure quello. Certo, il tempo c'era: la campanella suonava alle otto in punto, noi ci si trovava almeno una mezz'ora prima e poi, vi confesso, sono convinto che Teo a volte veniva anche alle 7: quando arrivavo lui era già lì. Una volta gli chiesi il motivo di tanto anticipo, lui mi rispose che, siccome ***** usciva sempre presto per lavoro, trovava comodo farsi accompagnare in auto, piuttosto che prendere la corriera.
Un giorno, mentre ero intento a inzuppare il bombolone nella tazza piena fino all'orlo di un fumante cappuccino, Teo chiuse di colpo il giornale e disse: "Cavolo, mi ero dimenticato che domani si va a teatro!"
Aveva ragione, il giorno seguente alcune classi del nostro istituto avrebbero assistito ad uno spettacolo teatrale in inglese tratto da "Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde".
Siccome in inglese facevo un po' di fatica, nonostante l'impegno che Teo ci metteva a farmi imparare una lingua per me molto ostica, avevo scaricato qualche film tratto dalla stessa opera letteraria, era sicuramente molto più rapido che leggere il libro, che non era comunque molto voluminoso.
"Ti è piaciuto il libro?" Mi chiese poi Teo. Il mio amico mi aveva prestato una copia.
Non volendo fargli torto dissi: "Sì, ma molto meglio i film."
Teo, senza guardarmi riprese in mano il giornale e solo dopo qualche attimo disse: "Per forza, certo… i film sono sempre più spettacolari dei libri." Dal tono mi parve che si fosse leggermente offeso della mia affermazione. Lui era un avido lettore, non solo di giornali ma anche di libri… con quel popo di libreria che aveva a casa, non faceva certo molta fatica!
Terminata la colazione, poiché nessuno dei nostri compagni di classe che abitualmente si univa a noi era arrivato, decidemmo di incamminarci verso la scuola. Teo sembrava essersi dimenticato del nostro dialogo sul libro e io comunque mi misi a parlare di altro.
Prima di quel giorno non ero mai stato al teatro di Cento, intitolato - mi aveva spiegato Teo - ad un famoso tenore della città.
Alla nostra classe erano destinati i palchi del primo ordine. Ricordo che Teo mi raccontò un po' la genesi del teatro all'italiana e pure la storia di quel teatro: "Il teatro Borgatti è un tipico teatro all'italiana, è stato inaugurato il 15 agosto del 1861 e solamente nel 1924 è stato intitolato al tenore centese Giuseppe Borgatti. Ci sono stati degli importanti lavori di ristrutturazione fra il 1964 e il 1974". Mentre mi raccontava queste cose io non potevo certo essere più che meravigliato nell'ammirare gli affreschi e le decorazioni che impreziosivano tutto il teatro.
Quasi senza accorgercene eravamo arrivati all'ultimo palco: eravamo rimasti io, Teo e nostri due compagni di classe, se non ricordo male Daniele ***** e Sabrina ***** - che erano un po' i due fidanzatini inseparabili. Stavamo per entrare nell'ultimo palco quando una delle maschere ci disse: "Quel palco è chiuso, vi accompagno al secondo ordine."
Sul momento nessuno di noi disse nulla: Teo era impegnato a raccontarmi la storia del Teatro e io ad ascoltare, mio malgrado, i nostri due compagni scambiarsi tenere effusioni mano nella mano.
La rappresentazione non era destinata ad essere un granchè, intendiamoci, gli attori bravi… però la scenografia minimalista e i costumi non particolarmente elaborati mi avevano un po' deluso: mi ero fatto il viaggio mentale di strabilianti scenografie e sontuosi abiti di scena… tuttavia la cosa che mi era piaciuta tantissimo (e pure ai miei compagni di classe) fu la ripetizione di alcune scene a seconda del punto di vista di questo o quel personaggio.
Ammetto che mi feci distrarre dal palco nel quale non ci avevano fatto entrare: di tanto in tanto lanciavo un'occhiata verso la nicchia, spinto da una certa curiosità. Perchè mai ci era stato impedito di accedervi?
Ad un certo punto, percependo che pure Teo si stava annoiando gli chiesi: "Secondo te perchè il palco laggiù è chiuso?"
"Probabile che sia riservato ai giornalisti o a qualche membro della troupe… è in una posizione privilegiata, proprio vicino al palcoscenico…"
"Però non c'è nessuno…"
Quelle mie ultime parole convinsero Teo a guardare verso la loggia: "In effetti…" Da quel momento pure lui, di tanto in tanto, guardava in quella direzione: la cosa lo aveva senza dubbio incuriosito.
C'è da dire che il mio amico era un tipo assai curioso, uno che non si accontenta mai della prima spiegazione. Lo imparai a conoscere bene con il passare dei mesi… e anche degli anni e ancora oggi a volte ci sono aspetti della sua personalità che mi sfuggono. So che diventerà un grande scienziato di fama mondiale e indubbiamente il suo sguardo curioso era premonitore di quello che poi sarebbe accaduto, sia per la prima avventura di cui vi sto rendendo conto, sia per quello che accadrà in seguito e per il rapporto che si instaurerà tra noi due.
L'opera stava andando avanti e il pubblico fatto interamente da noi studenti sembrava tutto sommato gradire. Improvvisamente - eravamo circa alla metà del secondo atto - uno dei fari di illuminazione cadde sul palcoscenico, proprio sul proscenio, il fragore fu spaventoso… incredibilmente non colpì nessuno. Subito le luci si accesero e immediatamente qualcuno pensò di chiudere il sipario. Vidi alcuni insegnanti avvicinarsi alla prima fila per controllare se qualcuno dei ragazzi che occupavano i primi posti era stato colpito da qualche frammento. Nessuno si era fatto male.
Dopo pochi attimi sbucò da dietro il sipario una ragazza che invitò tutti alla calma e annunciò che lo spettacolo sarebbe ripreso da lì a pochi minuti, il tempo di rimuovere il faro e di controllare il resto dell'impianto.
Pochi minuti dopo entrò il prof Ravennati, il nostro insegnante di storia per chiedere se andava tutto bene.
"E dello spettacolo che ve ne pare?" Chiese poi.
Daniele e Sabrina risposero con un'espressione che lasciava intendere il loro completo disinteresse.
Teo era del mio stesso giudizio: "La messa in scena è discutibile, da un punto di vista della scenografia almeno, però ci sono alcune trovate non male."
"Prof… scusi - intervenni io - noi dovevamo andare nel palco quello vicino al sipario, quello laggiù...ma non ci hanno fatto entrare…"
Teo mi guardò come a dire: "Ma cosa vuoi che ne sappia…"
Il prof Ravennati rispose: "Ah quello è sempre chiuso, è una cosa scaramantica che hanno durante gli spettacoli, dicono che sia il palco dove aleggia il fantasma del Borgatti… ovviamente nessuno crede a questa cosa, è però ormai diventata un'abitudine…"
Daniele di rimando esclamò: "La scaramanzia questa volta non ha funzionato, visto quello che è successo."
"Già…" Rispose il professore che se ne ritornò da dove era venuto.
A udire la parola "fantasma" io e Teo ci guardammo negli occhi. Devo ammettere che il mio amico ed io, "per fare cose", non avevamo bisogno di parlarci un granchè: bastava un cenno di intesa, proprio come quello che avevamo appena fatto.
All'uscita dal Teatro, la calca tipica delle grandi folle, figurarsi poi quando l'argomento principale, più di quello che era andato in scena, era l'incidente accaduto: regnava una gran confusione e immancabilmente si era sparsa la voce dell'esistenza di un fantasma, accusato dai più di essere l'autore di quanto era successo.
Teo era vicino a me, ma improvvisamente scomparve dalla mia vista.
Tutta la comitiva, radunatasi all'uscita su Corso Guercino, si stava incamminando verso il nostro istituto. Decisi di rimanere indietro per aspettare Teo, che fosse andato in bagno?
Un bel po' di minuti più tardi lo vidi sbucare dall'ingresso, con mio grande sollievo.
"Ma si può sapere dove eri andato a finire?"
"Guarda…" Mi disse mostrandomi il cellulare: aveva scattato una foto del faro che era caduto.
"Ma come…"
"Ho approfittato della confusione per andare dietro le quinte… fortunatamente lo avevano lasciato ancora lì in bella vista… prova a ingrandire la foto."
Gli presi il cellulare dalla mano, ingrandii l'immagine come mi aveva suggerito ma non notavo nulla di particolare.
"Scusa Teo ma cosa dovrei vedere?"
"Guarda, sono tracce di corrosione, qualcuno ha versato dell'acido per corrompere il supporto…"
Guardai meglio, in effetti il mio amico aveva ragione.
"...e non credo che un fantasma usi acido solforico." Aggiunse.
Il mistero su cui indagare era appena incominciato.
Capitolo 3
Io e Teo facevamo spesso i compiti assieme, a casa mia o a casa sua, a volte anche alla biblioteca comunale. Qualche giorno dopo lo spettacolo, lo ricordo bene perchè l'inverno ormai era alle porte e faceva un freddo orbo, dopo aver finito di ripassare storia e italiano decidemmo di andarci a prendere una cioccolata calda in uno dei tanti bar di Corso Guercino, che è l'arteria principale che divide in due il centro storico.
Dopo aver fatto la nostra consumazione, all'uscita dal locale Teo mi disse: "Che ne dici se andiamo a dare un'occhiata in teatro?"
"Che cosa ci sarebbe da andare a vedere?" Non che mi fossi dimenticato di quanto era accaduto, ma in quel frangente davvero facevo fatica a capire cosa potessimo scoprire.
"Non ti sembra strano che solo noi ci siamo accorti della corrosione di quel pezzo di metallo? E che sulla stampa non sia comparso nulla?"
Il mio amico aveva ragione, valeva la pena andare a fare un sopralluogo.
Solitamente, nella stagione invernale, al pomeriggio, il Teatro Comunale era aperto per permettere la visita al museo che si trova al suo interno.
Il Museo Borgatti contiene numerosi cimeli che lo stesso tenore ha donato alla città e fu inaugurato nel 1933; l'altro museo, forse meno conosciuto come nome, il Museo Arrigo Tassinari, ha in esposizione - come recitava la guida - "fotografie e documenti dell'illustre flautista centese"
Io e Teo facemmo più di un giro all'interno delle sale, aspettando il momento giusto per sgattaiolare in platea.
Una ragazza, sulla trentina, che pareva essere una delle persone addette alla sorveglianza, fu stupita di vedere due ragazzi fare visita ai musei.
"Siamo rimasti molto colpiti dallo spettacolo dell'altro giorno…" Si affrettò a dire Teo.
"Quello tratto da Jekyll e Hyde?"
"Si esatto…" Disse di rimando Teo.
"...e ci ha mosso la curiosità di visitare il teatro con più calma…" Aggiunsi io.
"Bene, bene…"
Avrei voluto chiederle se sapeva qualcosa sull'incidente che era capitato, ma mi morsi la lingua: non volevo certamente insospettirla.
Passarono più di trenta minuti e finalmente arrivò il momento giusto per intrufolarsi nella parte nobile del Teatro. La platea era completamente al buio, illuminata solamente dalle luci di emergenza che segnalavano le uscite di sicurezza. Dopo poco i nostri occhi si abituarono a quella oscurità e ci dirigemmo di soppiatto verso il palcoscenico.
Ad un tratto udimmo delle voci provenire al di là del sipario.
"Il teatro deve essere chiuso assolutamente tra due settimane, è per noi fondamentale!"
"Hai ragione, dobbiamo finire di scavare per giovedì prossimo… ma quello che è accaduto non basta, ci vuole qualcosa di più forte, ma temo che il tempo che abbiamo a disposizione non sia sufficiente."
"Non dobbiamo esagerare, nessuno si deve fare troppo male, sarebbe per noi problematico avere le forze dell'ordine in mezzo ai piedi."
Per come avevamo sentito le voci, le due persone, due uomini, stavano percorrendo il palcoscenico, da destra verso sinistra, protetti dal sipario.
Non riuscimmo ad udire cosa poi si dissero.
Con rapidi gesti delle mani decidemmo di proseguire. Arrivati davanti al palco Teo, con un balzo, salì sopra e poi aiutò me a fare altrettanto.
Teo scostò il sipario e una volta al di là ci guardammo attorno, una luce di servizio illuminava parzialmente tutta l'area: non c'era anima viva, delle due persone che avevamo appena sentito nessuna traccia.
Improvvisamente le luci della sala si accesero e udimmo la ragazza che ci aveva accolto alla reception dire: "Non li ho più visti uscire…"
Stavano cercando noi… che fare?
Teo mi tirò per un braccio e disse: "Per di qua!"
Girando a sinistra passammo per il corridoio che costeggiava la platea e ci ritrovammo poi nella grande reception.
"Per fortuna nei giorni scorsi mi sono studiato la mappa del teatro!" Disse il mio amico.
"Bravo fra'!" Non c'è che dire, Teo era sempre un passo avanti.
La fortuna ci aveva dato una mano: proprio in quell'istante stava entrando una comitiva di turisti stranieri e approfittando della calca uscimmo indisturbati.
Ci infilammo nuovamente in un bar, il primo che trovammo sulla via; quanto avevamo udito aveva dell'incredibile e dovevamo fare il punto della situazione.
Aspettammo che il cameriere ci portasse i due caffè che avevamo ordinato e poi iniziammo a parlare fitto fitto, a bassa voce, per non farci sentire dagli altri avventori, non tanti, a dire il vero.
"Allora - esordì Teo - sappiamo che l'incidente dell'altro giorno non è stato casuale, per via delle tracce di corrosione sul faro…"
Io annuii convintamente.
"Punto secondo… le due persone che abbiamo sentito parlare fanno parte delle maestranze, dato che si aggiravano indisturbati nel teatro…"
Riflettei un attimo, pensando a ciò che quegli uomini avevano detto e poi dissi: "Forse non si riferivano all'incidente, nel senso che magari sì, parlavano dell'incidente, ma può essere che non c'entrino nulla."
Teo rimase in silenzio pochi secondi.
"Hai ragione, quelle parole si prestano a diverse interpretazioni. Dato che parlavano di scavi, come prima cosa dobbiamo cercare di capire se sono in corso dei lavori al Teatro", si guardò attorno e poi proseguì: "Andiamo a casa tua, staremo più tranquilli."
All'epoca abitavo in Via Ugo Bassi, non troppo distante dalla Chiesa di San Biagio. Il mio era un modesto appartamento, nulla ovviamente in confronto alla mega villa dove abitava Teo. Nonostante però fossimo una famiglia di disgraziati era pulito, tenuto in ordine da quella santa donna di mia madre e tutto sommato confortevole: io avevo la mia stanza e questo mi bastava.
"Cosa intendi fare?" Chiesi una volta entrati in camera mia.
"Proviamo a telefonare in teatro per capire se ci sono dei lavori in corso, come ti ho detto."
Teo prese fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare, cercò su internet il numero del teatro, lo compose, inserendo poi il vivavoce: "Salve, buona sera, sono della redazione de *****, telefono per sapere quando inizieranno i lavori di consolidamento delle fondamenta - Teo stava improvvisando - vorremmo fare un servizio…"
"Salve, non ci sono lavori in programma." Rispose una voce maschile.
"E mi dica, circa l'incidente che è capitato l'altro giorno, il teatro riaprirà presto?"
"Il teatro è sempre aperto, è stato tutto risolto" Tagliò corto l'individuo dall'altra parte del telefono.
"Ah ottimo, la ringrazio… ah senta, io con chi ho parlato?"
Il tipo riagganciò la cornetta senza tanti complimenti.
"Dobbiamo assolutamente fare un altro giro in teatro." Il mio amico non si dava per vinto facilmente.
Grazie al poderoso cellulare di Teo (mi sono dimenticato di dirvi che andava pazzo per le cose hi-tech e certo con il padre adottivo che si ritrovava se le poteva permettere, ma non fraintendetemi, non faceva mai sfoggio delle sue fortune e anzi, usava la tecnologia, come ebbi modo di constatare in prima persona in seguito, per fare del bene… sapete… come nel film dell'Uomo Ragno: da grandi poteri derivano grandi responsabilità) prenotammo due posti per una commedia dialettale che sarebbe andata in scena due giorni dopo. Non che ci piacesse il dialetto, ma era il primo spettacolo utile a cui assistere.
Capitolo 4
Venne finalmente il giorno dello spettacolo e confesso, lo ricordo ancora bene, ero parecchio emozionato. "Per uno spettacolo dialettale?" direte voi. Beh, per uno come me andare a teatro era una cosa… come dire… che mi faceva sentire non so, qualcuno di importante.
La sera prima avevo rovistato nel mio guardaroba in cerca di qualcosa di appropriato. Teo si sarebbe vestito sicuramente elegante e non volevo certo fargli fare brutta figura. Passai due ore a cercare di decidere cosa fosse "appropriato" e infine mi decisi a telefonare a Teo: "Senti fra', come ti vesti domani sera?"
Sentii una flebile risata.
"Dai fra'...non sono mai stato a teatro alla sera, non voglio vestirmi da pezzente."
"Ma tranquillo Massy… non è mica la prima della Scala, comunque io penso di mettermi un paio di jeans, una camicia bianca e una giacca…"
Passai almeno un'altra buona mezz'ora a scegliere i vestiti. Una bella giacca l'avevo pure io, scura. Optai per una camicia blu scuro - credo fosse di mio fratello ma mi andava a pennello, era un po' stretta ma metteva in risalto un po' i miei muscoli. Per i jeans fu un problema, dato che li avevo tutti "strappati" come imponeva la moda dell'epoca… "Ma visto che sono di moda..." Mi dissi.
Quando il giorno seguente ci trovammo al bar della Bocciofila per la nostra immancabile colazione, vedendo il mio volto un po' tirato Teo mi chiese se avevo fatto le ore piccole a cercare cosa mettermi per la sera.
Avevo effettivamente dormito poco, ma non certo per la questione "abito da indossare", quanto piuttosto per il mistero che si stava addensando intorno al teatro: era innegabile che c'era qualcosa che sarebbe accaduto da lì a due settimane e con la fantasia cercai anzi tempo di provare ad immaginare cosa potesse riguardare. La prima cosa che pensai, anche se un po' banale, fu quella di un fantomatico tesoro che qualcuno voleva trafugare poi sinceramente non mi venne in mente altro.
Ma c'era anche qualcos'altro che mi impedii di dormire: mi ero domandato se mai sarei stato all'altezza di Teo. Ora certo, che sono passati diversi anni da quella nostra prima avventura, mi viene da ridere se penso a tutti quei dubbi che mi frullavano in testa, un po' stupidi a dire il vero.
Ma Morfeo tardava ad arrivare anche per un'altra ragione: avevo il sentore dell'avventura che stavamo per intraprendere ed ero certo elettrizzato, ma anche un po' preoccupato: se ci avessero scoperto, che ne sarebbe stato di me? Mi spiego meglio: con la situazione riguardante mio fratello e per via di qualche mio piccolo precedente… potevo finire in guai grossi. Teo aveva le spalle coperte, per via del suo "tutore", una persona benestante e famosa. Tuttavia sentivo che aveva bisogno del mio aiuto e non potevo certo lasciarlo solo, anche perchè in quei mesi mi aveva aiutato parecchio, con la scuola. E poi… e poi gli volevo bene, come se ne vuole ad un fratello.
Perchè parlo in questo modo? Perchè sentivo che ci saremmo potuti cacciare nei pasticci immaginando le intenzioni di Teo.
La domanda del mio amico ovviamente mi fece ridere.
"No, no… tranquillo."
Nel mentre attendevamo la colazione, Teo iniziò a sfogliare, come sempre, il giornale, iniziando dal *****.
"Me lo sentivo!" Disse con un tono leggermente adirato.
"Che succede?"
"Leggi qua…" E mi porse il giornale.
TEATRO BORGATTI - CHIUSURA A TEMPO INDETERMINATO
Da un'ispezione del Nucleo Operativo dei Carabinieri, fatto su segnalazione dell'Assessorato alla cultura si è deciso, visti i rilievi fatti all'impianto elettrico e di illuminazione - ricordiamo il distacco di un faro durante una rappresentazione riservata alle scolaresche centesi - e i problemi riscontrati poi anche all'impianto di riscaldamento, di attivarsi per un completo ripristino, che secondo l'Assessore, da noi interpellato, dovrebbe avvenire in tempi brevi, proprio per non privare per lungo tempo la città di uno dei suoi gioielli più prestigiosi.
Gli spettacoli in programma almeno per i prossimi trenta giorni sono tutti annullati e sarà possibile chiedere il rimborso.
Non ci potevo credere e rilessi l'articolo almeno un paio di volte. Ma alla fine mi convinsi di una cosa e lo dissi subito a Teo: "Senti fra', non è che stiamo montando un caso sul nulla, magari que tizi parlavano di questa cosa…"
"E come te lo spieghi l'acido sul quel supporto…"
"Ma siamo sicuri che fosse acido, magari…" Provai a controbattere, ma inutilmente.
Vidi la delusione negli occhi di Teo, non tanto, credo, perchè pensasse che io potessi avere ragione, piuttosto perchè ci rimase male che io potessi non essere della sua stessa opinione. Come mi spiegò in seguito, temette che non lo volessi aiutare nella sua "indagine".
Io immaginavo, come poi si è avverato, che volesse introdursi nottetempo in teatro e ripensai ai dubbi provati la notte precedente.
Teo, lo apprenderete in seguito, aveva doti eccezionali e chissà forse anche la telepatia, fatto sta che mi prese una mano e mi disse: "So benissimo che dovremmo magari andare a dire dei nostri sospetti alle forze dell'ordine ma chi mai crederebbe a due ragazzini? So anche che ci potremmo ficcare nei guai e so altrettanto bene che la cosa potrebbe crearti molti problemi, più di quanto non li possa creare a me, ma ti posso assicurare che, se anche capitasse, non ti lascerò mai solo e, anzi, farò quanto in mio potere per risolvere tutti i tuoi problemi."
Nessuno mai prima di allora mi aveva parlato in quel modo. Teo mi abbracciò calorosamente e così potei nascondere le lacrime che mi stavano scendendo dagli occhi.
Capitolo 5
Dopo la scuola, decidemmo di andare a casa di Teo per studiare una strategia, un "piano di battaglia", come si suol dire.
A casa mia ci sarebbe stata mia madre - era il suo giorno di riposo - e preferivamo non essere disturbati: il papà adottivo di Teo (uso la parola papà perchè come mi disse Teo lo sentiva ormai come un vero e proprio padre) sarebbe rientrato a tarda sera.
Dopo un frugale pranzo, due pizze surgelate, ci mettemmo nell'ufficio di *****
"Io computer di mio papà è decisamente più potente… e molto più sicuro."
"Che intendi dire?"
"Posso intrufolarmi in qualsiasi sito senza lasciare traccia alcuna."
"Ma… è legale?"
"Certo che no e nemmeno lui conosce queste mie doti di hacker."
Mentre Teo batteva velocemente le dita sui tasti mi guardavo attorno. Lo studio era grande più o meno come due stanze, illuminato da tre grandi finestre che davano sul cortile che, di fatto, circondava tutta la casa.
Le pareti erano coperte da giganteschi scaffali, che arrivavano fino al soffitto, tutti pieni di libri. Al centro della stanza un grande tappeto persiano di un bellissimo color porpora con rifiniture color oro. Dall'altra parte rispetto a dove era situato il tavolo al quale eravamo seduti un altro tavolo, probabilmente in noce con, appoggiato sopra, un mappamondo antico.
"Come prima cosa vediamo di capire chi ci lavora in Teatro, sapere se c'è magari qualche pregiudicato può esserci d'aiuto."
"E se anche fosse?" Chiesi in tono involontariamente piccato: anche se uno ha avuto dei precedenti magari ha deciso di mettere la testa apposto.
Teo, evidentemente pensando che me l'ero presa per via di mio fratello si affrettò a scusarsi. Io, per tutta risposta gli misi una mano sulla spalla, segno che non era successo nulla e mi scusai a mia volta.
"La gestione operativa del teatro è affidata alla Cooperativa ****** che si occupa sostanzialmente di tenere aperto il teatro, della presenza delle maschere e del personale durante gli spettacoli" iniziò a raccontare Teo, guardando attentamente le schermate che comparivano veloci sul monitor del computer, "questa cooperativa ha sede a Cento e a quanto pare chi vi lavora è apposto con fedina penale e tutto il resto. Stessa cosa per l'azienda che si occupa delle pulizie."
Teo si introdusse poi nel server dell'azienda di impianti scenici, visualizzando in un batter d'occhio la pagine che le foto dei dipendenti che lavoravano al Teatro di Cento e ci fu una foto che attirò subito la mia attenzione: Antonio ***** lo conoscevo bene, era un amico di mio fratello, lo vedevo spesso a casa mia a prendere "roba" da Alessio.
Confrontando i dati con l'anagrafe penale Teo disse, un po' sconsolato: "Anche qui nulla di segnalare…" ma io lo interruppi, indicando Antonio: "Vedi, quello è uno che era sempre a casa nostra, non ha precedenti probabile, ma uno che si fa di droga senza dubbio." E raccontai a Teo del rapporto che quel tizio aveva con mio fratello.
"Tutti potrebbero avere qualcosa da nascondere, a questo punto, quello è un po' difficile scoprirlo." Disse il mio amico.
"Certo e sinceramente non penso che lui possa fare parte di chissà quale piano segreto, ma visto che lavora in teatro...beh, ci potrebbero fare comodo due occhi in più."
"Oppure… ci potrebbe dare una mano ad entrare…"
Fare affidamento su Antonio era, in quel momento, l'unica cosa che potevamo fare, dato che dalle ricerche di Teo non emerse nulla di rilevante.
Capitolo 6
Incontrammo l'ormai ex amico di mio fratello in un bar della periferia, frequentato da quelle che dalle mie parte si definiscono "facce da manette".
Non mi aspettavo che fosse felice di vedermi e infatti appena si avvicinò al tavolo dove eravamo seduti io e Teo mi disse: "Si può sapere che vuoi?" Accompagnando quella domanda da una serie di improperi irripetibili.
Teo scattò subito: "Datti una calmata, bello… abbiamo da farti una proposta di quelle che… non si possono rifiutare."
"Ti sei portato l'amichetto?"
"La vuoi piantare e ascolta!" Intervenni io.
"Dato che lavori in teatro abbiamo bisogno di informazioni su quello che succede lì dentro…"
"Sarebbe a dire?"
"Sarebbe a dire che devi tenere aperti gli occhi e dare un'occhiata in giro, diciamo… per i prossimi tre...quattro giorni…"
"Ma il teatro è chiuso per lavori."
"Tu come tecnico sei uno sicuro di quelli che puoi entrare."
"Cosa c'è sotto?"
"Tu non ti preoccupare."
"E io cosa ci guadagno?"
"La metà di questa." Così dicendo Teo tirò fuori dalla tasca del giubbotto una banconota da cinquecento euro e la strappò a metà, porgendone una parte ad Antonio.
Antonio ci guardò come a dire: "Affare fatto." E poi uscì dal locale alla chetichella, cosa che facemmo anche noi due.
Mentre accompagnavo Teo alla fermata del bus non potei fare a meno di soddisfare la mia curiosità.
"Ti ho visto molto sicuro...prima… con Antonio, come hai fatto a sapere che avrebbe accettato?"
"Non ne ero poi molto certo, a dire il vero, indubbiamente è un azzardo fidarci di uno così, ma al momento non abbiamo altre soluzioni. L'ideale sarebbe intrufolarsi in Teatro alla notte, ma mio padre non mi farebbe sicuramente uscire… e se tornassi tardi mi farebbe mille domande. Preferisco tenerlo fuori dai "nostri" affari."
"So che non sono affari miei" dissi poco prima che Teo salisse sul bus, "ma… quei cinquecento euro erano veri?"
"Certamente… perchè?"
"No niente." Rimasi vago.
Se oggi ripenso a ciò che provai in quel momento mi viene da ridere, ma all'epoca quel gesto di pagare Antonio tutti quei soldi mi fece uno strano effetto, forse era un misto di invidia e gelosia: sarebbe piaciuto anche a me ricevere in dono per un banale lavoretto tutti quei soldi e soprattutto rimasi meravigliato che Teo potesse disporre di una cifra simile a proprio piacimento.
Ma gli eventi che accaddero da lì a poco dopo mi fecero ricredere di tutti quei pensieri.
Capitolo 7
Come ho scritto qualche pagina indietro a volte capitava che andassi da Teo a fare i compiti, a volte andavo a casa sua subito dopo la fine delle lezioni, fermandomi a pranzo.
La villa dove abitava - e dove abita tutt'ora - si trova quasi alle porte di *****, è una casa di campagna che il suo papà adottivo aveva fatto ristrutturare non appena aveva appeso gli scarpini al chiodo. L'abitazione è su tre piani, circondata da un grande bosco alberato, diviso praticamente a metà da un ciottolato che dal cancello porta all'entrata principale, posta a sud.
La camera di Teo si trovava all'ultimo piano, proprio nel sottotetto e occupava quasi tutto il piano.
Erano passati appena due giorni dal nostro incontro con Antonio ma di lui ancora nessuna notizia. Noi, d'altro canto, eravamo impazienti dato che delle due settimane di cui avevano parlato quei due tipi ne era appena passata una, ancora sette giorni per risolvere il mistero.
Teo era alla scrivania, al pc, che trascriveva la ricerca che avevamo appena terminato, mentre io davo un'occhiata ai fumetti che conservava in perfetto ordine, in una piccola libreria vicino al letto.
"Ecco fatto" disse Teo, "ho finito… senti, mi prendi una risma di carta lì nel ripostiglio?"
La porta del ripostiglio era proprio vicino alla libreria a cui ero davanti.
Nel prendere i fogli urtai un contenitore di penne a sfera che immancabilmente cadde per terra, le penne si sparsero su tutto il pavimento, alcune rotolarono sotto la scaffalatura.
"Che hai fatto?"
"Niente fra', ho fatto cadere la scatola delle penne, ora le raccolgo."
"Ah ok… tranquillo."
Ci misi un attimo. Per prendere quello rotolate sotto gli scaffali mi inginocchiai e allungai la mano, andando a tastoni sentii qualcosa di metallo che sollevai, sembrava una maniglia.
Chiamai subito Teo. Il mio amico fece luce con la torcia del cellulare: sembrava proprio una maniglia. Rapidamente rimuovemmo la scaffalatura: non ci volle molto dato che era fissata al muro con due rivetti.
Non c'era alcun dubbio, il pavimento del ripostiglio era chiaramente una botola!
"Proviamo ad aprirla: non sembrano esserci serrature!"
Teo corse dabbasso a prendere uno spago, che poi legammo alla maniglia: non c'era altro modo, dato che la botola non poteva chiaramente essere aperta standoci sopra.
Una scala che scendeva nelle viscere della casa si rivelò ai nostri occhi.
Grazie al cellulare di Teo ci facemmo strada. La scala scendeva dritta per una rampa, per poi divenire una scala a chiocciola, il passaggio era molto angusto, era largo non più di una ottantina di centimetri.
Non so dire di quanto scendemmo, ma era chiaro che una volta arrivati alla fine del percorso ci trovavamo quasi al livello della cantina.
Ci trovammo davanti ad una porta di legno chiusa da un lucchetto arrugginito che si ruppe con un calcio: quel giorno indossavo gli anfibi e il colpo che assesstai mandò in frantumi la debole serratura.
Entrammo in una sorta di scantinato dove erano ammassate casse di legno, un paio di sidecar, una specie di camionetta e molto altro.
"Mio Dio!" Era l'unica cosa che io e il mio amico riuscimmo a dire.
Era chiaro che quello era un deposito segreto risalente alla seconda guerra mondiale, molto probabilmente costruito dai partigiani.
"E' incredibile che non l'abbiano trovato quando hanno ristrutturato la casa." Osservai.
Le casse contenevano armi e indumenti. C'erano pure radio, diverse uniformi e vestiti. Una di esse conteneva diversi faldoni e fogli di carta.
"Cosa facciamo?" Domandai.
"Per il momento ce lo teniamo per noi."
Passammo i successivi due pomeriggi a inventariare tutto quello che c'era in quella misteriosa cantina segreta (e Teo pure la notte)
n. 1 camionetta
n. 2 sidecar
n. 1 jeep
n. 28 fucili leggeri
n. 1584 munizioni varie (fucili, mitragliatrici, pistole)
n. 1 mitragliatrice
n. 2 balestre
n. 20 frecce per balestre
n. 5 attrezzature per arrampicata
n. 2 uniformi SS
n. 5 uniformi fasciste
n. 10 uniformi militari
n. 10 abiti civili da donna
n. 23 abiti civili da uomo
n. 5 coltelli tipo militare
n. 2 radio
n. 5 grimaldelli
n. 2 passpartout
n. 4 ricetrasmittenti
n. 1 apparecchio morse
n. 5 fascicoli contenente corrispondenza varia
n. 1 carta geografica della zona
n. 5 elmetti
n. 5 caschi per moto
n. 2 corde mt. 20
n. 18 rotolo stoffe varia colore
n. 2 giacche montagna
n. 2 giubbotti tipo aviatore
n. 11 sciarpe
n. 7 paia stivali anfibi
n. 5 paia scarpe da uomo
n. 5 paia scarpe da donna
n. 5 pistole
n. 1 binocolo
n. 10 fondine per pistole
n. 13 spade
Quello che ci parve subito chiaro è che una volta doveva esserci un passaggio per fare uscire i vari mezzi di trasporto, molto probabilmente interrato, forse per cause naturali - magari qualche smottamento del terreno - oppure sul finire della guerra, dagli stessi partigiani, per impedire il ritrovamento di quell'antro segreto.
Certo, era parecchio strano che durante i lavori di ristrutturazione non venne scoperto il passaggio nascosto, ma molto probabilmente si erano limitati, per quella parte della villa, a rifare l'intonaco e a sostituire il coperchio della botola, senza poi porsi molte domande.
Per un paio di giorni fantasticammo su come impiegare le cose trovate e soprattutto cosa farne di quella stanza, che quasi ci dimenticammo del mistero che aleggiava attorno al Teatro Comunale, ma un articoli di giornale contribuì a farci ritornare, per così dire, alla realtà.
Capitolo 8
MORTE AL TEATRO BORGATTI: DECEDUTO TECNICO IMPIANTI
Antonio *****, 32 anni, è deceduto nella mattinata di ieri all'interno del Teatro Comunale di Cento; al momento dell'incidente non era presente nessuno. Probabilmente il giovane stava controllando gli impianti elettrici ed è caduto da un'impalcatura, il suo corpo è stato ritrovato ai piedi del ponteggio che era stato montato proprio due giorni fa per permettere l'esecuzione di alcuni lavori.
Sul posto, allertati dal personale del Teatro, subito il personale sanitario che non ha potuto fare altro che constatare il decesso del ragazzo. Intervenuti anche i Carabinieri della locale stazione per i rilievi del caso. Il magistrato di turno ha comunque disposto la chiusura del cantiere per alcune indagini: quanto accaduto potrebbe protrarre il tempo di chiusura del Teatro: i centesi dovranno purtroppo aspettare ancora per tornare a frequentare il loro amato teatro.
Io e Teo ci guardammo negli occhi. Eravamo come al solito al bar della Bocciofila.
"E' stato veramente un incidente secondo te?" Domandai.
"Non lo so, ma se dietro a questa cosa c'è qualcuno, credo che si siano dati parecchio da fare, chiunque essi siano, ad inscenare un incidente. Avere i carabinieri in mezzo alle scatole…"
"Però hai letto" lo interruppi, "c'è il rischio che il teatro stia chiuso più a lungo, magari può fare comodo a qualcuno."
"Hai ragione Massy, non ci avevo pensato."
"Tuttavia non sappiamo se davvero c'è qualcosa dietro."
"Probabilmente, anzi… sicuramente ad Antonio faranno l'autopsia, se, come immagino, la salveranno su qualche computer sarà un gioco da ragazzi impossessarsene."
"L'unico modo sarebbe entrare in Teatro, di nascosto…" Suggerii io. Ero intimamente ancora convinto che forse tutti quegli avvenimenti non avevano alcun collegamento ma era altrettanto evidente che potevano essere anche considerate strane coincidenze e se volevamo avere chiara la situazione era necessario era dare un'occhiata di persona.
"Mi è venuta un'idea: sabato potrei dire a mio padre che vengo a casa tua per un pigiama party e tu farai altrettanto con i tuoi genitori…"
Il piano di Teo era geniale, nella sua semplicità.
"Ma se per caso magari i miei telefonano a tuo padre?" Chiesi io, per scrupolo.
"E' una probabilità, anche se non credo che i tuoi genitori abbiamo il suo numero di telefono, ma in ogni caso, faremo le opportune deviazioni di chiamate in modo che a rispondere sarò sempre io… o tu, nel caso ***** telefoni a casa tua."
"Ma se non ci dovessero dare il permesso?"
"Nel caso… ci penseremo dopo."
Ovviamente da parte dei miei genitori e nemmeno dal papà di Teo ci furono obiezioni di sorta.
Capitolo 9
Il piano consisteva nel fatto che entrambi avremmo preso la corriera delle otto di sera, io per andare a ***** da Teo e lui per venire a Cento. In realtà aspettai Teo direttamente in stazione.
Una volta usciti dalla stazione delle corriere ci dirigemmo in una delle poche pizzerie del centro storico ancora aperte: avevamo progettato di entrare a Teatro attorno alla mezzanotte e non c'era cosa migliore che ingannare il tempo mangiando una bella pizza.
La mia favorita era la "pizza tirata con salsiccia, pancetta e mozzarella di bufala", mentre Teo optò per la cocktail di gamberi.
Teo aveva un modo curioso di mangiare la pizza, la faceva praticamente a brandelli, poi l'ultimo spicchio se lo ingoiava in un sol boccone. "Per il galateo la pizza si può mangiare anche con le mani" Diceva.
Terminammo di mangiare che non erano neanche le dieci.
"Rimaniamo ancora un po' qui. Ti va?" Suggerii e ovviamente Teo accettò di buon grado.
Ad un certo punto dalla zainetto che si era portato appresso e dove aveva riposto tutto ciò che ci sarebbe potuto servire per entrare a Teatro tirò fuori una scatoletta finemente incartata e me la porse.
"Che cos'è? L'anello di fidanzamento?" Scherzai io.
"Molto meglio, direi… dai apri!"
La scatola conteneva una sorta di tessera magnetica con microchip, tipo una carta di credito, era di colore nero con riflessi argentei e il mio nome scritto in caratteri di color oro senza alcun disegno o logo di chissà quale banca
"Che cosa sarebbe?"
"Innanzitutto spero che tu non ti offenda" prese col dire Teo, "so bene delle difficoltà che passa la tua famiglia, questa è un piccolo aiuto per te. Quando hai bisogno di soldi, ti basterà fare un prelievo della cifra di cui hai necessità, non ha scadenza o limiti di importo, se non i soliti giornalieri comuni a tutti i bancomat."
Rimasi impietrito, in quel momento non seppi che dire, e ancora oggi farei fatica a trovare le parole giuste.
"Ma… ma… i soldi da dove vengono?"
"Di quello non ti preoccupare." Solo in seguito, molti mesi dopo Teo mi disse che provenivano direttamente dal suo fondo fiduciario che ****** aveva creato a suo nome.
"Ma… scusa… e se ti svuoto tutto il conto o quello che è, insomma… e poi scappo via?" Cercai di provocarlo per avere risposte in più.
"Siamo amici, so che non lo farai!" E aveva ragione, ancora oggi sono in possesso di quella carta e la uso per le normali spese, quando proprio ne ho bisogno.
"Siamo amici" Quelle parole riecheggiano ancora nelle mie orecchie, nessuno potrebbe desiderare di avere un amico migliore di Teo.
Per far passare almeno un'altra oretta, ordinammo una pizza gigante alla margherita e un po' di patate fritte.
Quando ormai nel nostro stomaco non ci stava più nulla arrivò il cameriere a chiedere se volevamo un digestivo o un caffè. Io avevo una sete orba e ordinai un'aranciata mentre Teo una tazza di latte caldo, come faceva dopo ogni pasto.
"Come mai latte caldo?" Non la ritenevo una cosa normale.
"Avevo un amico quando stavo a Padova che prendeva sempre il latte caldo, ho "imparato" da lui."
"Non vi frequentate più?"
"Cosa vuoi mai… ci sentiamo al telefono o in chat o via messaggio, sono stato con lui al mare la scorsa estate…"
"Ti manca Padova?"
"Ci ho vissuto per quattordici anni… con… i miei…" I suoi occhi iniziarono ad inumidirsi.
"Scusa… non volevo."
"Tranquillo, prima o poi dovrò imparare a convivere con questa cosa."
"Non ti è pesato lasciare i tuoi amici?"
"****** sarebbe anche stato disposto a trasferirsi a Padova, ma sono stato io a non volerlo, cambiare aria mi avrebbe fatto bene, e così è stato… a parte qualche ricordo ogni tanto." Teo sorrise, amaramente.
Cercai di cambiare subito argomento: "Come pensi di entrare?" Chiesi a bassa voce.
Ma Teo mi fece cenno che me ne avrebbe parlato una volta usciti dalla pizzeria e aveva ragione. il locale era parecchio affollato.
Dopo aver pagato il conto uscimmo nella fredda sera, erano da poco passate le undici e decidemmo di fare un giro attorno al teatro. La gente in giro non era tanta ma pensammo che era meglio aspettare la mezzanotte e anche oltre. Camminando ci allontanammo dalla piazza per dirigerci verso Porta Pieve, l'unica delle antiche porte di Cento rimaste ancora in piedi.
Ci sedemmo su una delle panchine del giardino.
Teo non aveva più lo sguardo un po' triste degli ultimi minuti in pizzeria. Con fiera determinazione mi mostro dal tablet che aveva con sé i video delle telecamere dell'area.
"Entrare nei sistemi di videosorveglianza dei negozi di Corso Guercino e di Via Campagnoli è stato un gioco da ragazzi, ho inserito in loop la stessa immagine in modo che nessuno possa vederci. Entreremo dalla porticina di accesso che da sulla via dei Cinema."
Per chi non fosse di Cento tengo a precisare che il Teatro Comunale si trova all'angolo fra Corso Guercino e un'altra via, appunto via Campagnoli, sede dei cinema Astra e Odeon.
"E una volta entrati?"
"Per prima cosa disattiverò l'allarme e poi… e poi daremo un'occhiata in giro."
Qualcuno di voi si chiederà se entrammo armati, visto che fucili e pistole non ci mancavano. Vi confesso una cosa: nessuno di noi due ha mai pensato di usare le armi trovate nella stanza segreta. Certo (lo leggerete magari nelle prossimo avventure) qualcosa di tutto quell'armamentario lo abbiamo usato, ma non le armi da fuoco.
Capitolo 10
Entrare in teatro fu effettivamente un gioco da ragazzi.
Ancora oggi mi chiedo cosa sarebbe potuto accadere se Teo avesse messo al servizio della malavita la sua intelligenza e le sue doti… ma passiamo oltre…
Il mio amico disattivò l'allarme in pochi attimi e poi ci addentrammo nelle viscere del teatro, a quanto pareva, deserto.
Passammo per il corridoio a sud, girando attorno alla platea, per poi giungere dietro al sipario.
Le nostre narici furono colpite da un odore di terra smossa, di umidità. Seguendo il nostro olfatto, percorrendo i corridoi con il solo aiuto della nostra torcia elettrica - Teo davanti faceva strada, io dietro, appoggiando una mano sulla spalla, lo seguivo passo passo - giungemmo ad una strana apertura sul pavimento a qualche metro dalle quinte. Il buco era largo circa due metri quadri e una scala di legno era appoggiata al bordo.
Teo mi porse la torcia e io illuminai il foro mentre lui scendeva al livello sottostante.
Si fece poi luce con l'aiuto del cellulare.
"C'è una galleria! Dai, scendi!" Disse e ovviamente lo seguii a ruota.
La galleria di cui parlava teo era alta un paio di metri e non era molto larga, circa un metro e mezzo. Ci trovavamo occhio e croce un paio di metri sotto il livello della strada, il tanfo di fogna era incredibile. Teo prese dallo zaino un paio di mascherine e le indossammo.
Ci addentrammo in quell'oscuro budello, molto attenti a dove mettere i piedi.
Non so ben dire quanto camminammo, credo per una decina di minuti, o forse qualcosa di più, fatto sta che arrivammo ad una parete non naturale, chiaramente costruita dall'uomo, fatta di mattoni, come che qualcuno avesse voluto chiudere un passaggio; tutto intorno attrezzi per scavare.
"Devono buttare giù questa parete… ed è chiaro che non hanno ancora finito il lavoro. Ma che senso ha tutto questo?" Domandai.
Improvvisamente il cellulare di Teo iniziò a vibrare.
"Maledizione! Qualcuno è entrato in Teatro!" Disse tutto allarmato.
"Ma come…" Pure io fui colto dal panico.
"Per non farci sorprendere ho deviato l'avviso dell'allarme sul mio telefonino, presto… dobbiamo levare le tende!"
Iniziammo a correre a più non posso verso l'uscita di quel lurido tunnel. Salimmo la scala in tutta fretta e una volta al piano superiore tendemmo le orecchie per cercare di capire se chi era entrato in teatro stava venendo verso di noi.
Udimmo dei rumori in lontananza e ovviamente ci dirigemmo dalla parte opposta. Teo si muoveva come un felino in tutta quell'oscurità e io lo tallonavo, tenendolo per la giacca. Una porticina chiusa con la catena ci separava dalla libertà. Vidi però Teo che rimase interdetto per un attimo.
"Che ti prende?"
"Se usciamo di qua, sicuramente si accorgeranno della nostra presenza dato che non possiamo certo rimettere la catena."
Non aveva certamente torto, ma per noi era pericoloso rimanere lì anche se solo per un secondo in più.
Teo tirò fuori dal suo inseparabile zaino un piccolo tronchese e non ci mise molto a tranciare la catena. Uscimmo nella corte del Teatro. Prima di allontanarci Teo reinserì tutti gli allarmi e solo quando fummo sufficientemente lontani ripristinò il corretto funzionamento dei vari sistemi di videosorveglianza della zona.
Capitolo 11
Ci ritrovammo a casa di Teo il pomeriggio del giorno seguente.
Non potendo rientrare anzitempo alle nostre rispettive abitazioni passammo il resto della notte nella mia cantina, che attrezzata di due materassini e una stufetta elettrica non era poi stata uno scomodo giaciglio. Per evitare di essere scoperti rimanemmo in assoluto silenzio, rimandando appunto al pomeriggio un'attenta analisi di quanto era successo.
Ci svegliammo attorno alle otto e prima di salire in casa, accompagnai Teo alla stazione delle corriere.
La faccenda si stava facendo veramente interessante e il tempo trascorse molto velocemente.
Trovai Teo nella sua camera intento a esaminare alcune delle mappe che avevamo trovato nella stanza segreta.
Quando entrai, senza nemmeno guardarmi, mi accolse dicendo: "Stanno costruendo un tunnel verso il Palazzo del Governatore sfruttando il percorso dell'antico canale che attraversava Cento."
Mi avvicinai alla scrivania. Teo era ricurvo su una piantina che riproduceva l'antico centro storico di Cento; potei notare che effettivamente in alcuni tratti di quella che è l'odierna Via Guercino erano raffigurati alcuni segmenti del canale, che chiaramente passava al di sotto del manto stradale.
"In questo modo non hanno dovuto faticare più di tanto." Aggiunsi io.
"Ma il motivo di tutto ciò?" Domandai dopo alcuni attimi di silenzio.
"Ecco…" E così dicendo Teo mi mostrò la pagina dell'edizione locale del ******
Domenica al Palazzo del Governatore di Cento sarà inaugurata la mostra del ********** uno dei pittori viventi maggiormente in voga oggi: sarà esposto anche "Volo del gabbiano" recentemente battuto all'asta per cinque milioni di euro, che la casa d'aste ha gentilmente concesso, previa la stipula di una corposa polizza assicurativa, all'assessorato del Comune di Cento dato che il pittore è di origini centesi, seppure viva in negli Stati Uniti da più di venti anni.
"Ora è chiaro tutto!" Esclamai.
"Con il teatro chiuso e agendo di notte hanno tutto il tempo per trafugare i quadri e poi far perdere le proprie tracce con tutte le tele quando le acque si saranno calmate." Fu il ragionamento di Teo che pure io condividevo.
"E' lecito supporre che al Palazzo del Governatore ci deve essere un passaggio che i ladri contano di ripristinare non appena termineranno il trafugamento dei quadri, in modo che nessuno se ne accorga. Con i lavori in corso al Teatro, un furgone o un camion da quelle parti non desterà sospetti: chi si immaginerebbe un piano così laborioso." Aggiunse il mio amico.
"Cosa pensi di fare?"
"Farci dare una mano dal fantasma del Borgatti!" Disse Teo.
Capitolo 12
Cento. Un'organizzazione criminale costituita da incensurati che ricoprivano ruoli di rilievo nella cooperativa che gestiva il Teatro Comunale di Cento aveva escogitato un elaborato piano per rubare alcuni quadri del noto pittore ********** in esposizione al Palazzo del Governatore. Cosa ha a che fare il Teatro con il Palazzo del Governatore? Semplice, i furfanti, sfruttando in parte l'antico corso del canale di Cento avevano scavato un tunnel che parte dalle fondamenta del Teatro per giungere sotto il Palazzo del Governatore. Nottetempo avevano costruito un finto muro di cartongesso che avrebbero poi ripristinato una volta trafugati i quadri. Così, con calma, grazie al teatro chiuso, si sarebbero dileguati.
Gli incidenti capitati nelle settimane scorse facevano parte della messa in scena orchestrata dai lestofanti per costringere l'Amministrazione Comunale a tenere chiuso il teatro, cosa che avrebbe loro permesso di agire indisturbati.
Ma se il piano ha dell'incredibile, ancora più incredibile come le forze dell'ordine siano venute a conoscenza del crimine e a raccontarlo è proprio uno dei manigoldi:
"Avevamo finito di abbattere il muro dello scantinato del Palazzo del Governatore, quando improvvisamente una fitta nebbia ha invaso il tunnel, poi una tetra voce, una cosa da far accaponare la pelle: - Voi, avete osato profanare la mia casa!
In preda al panico io ho tirato fuori la pistola e ho sparato, ma quell'essere che sembrava sospeso nell'aria era ancora lì, poi improvvisamente si è dileguato"
A portare però i carabinieri sul luogo del misfatto una telefonata di un cittadino allarmato dalle sinistre urla proveniente dal teatro.
I malviventi dovranno rispondere anche del reato di omicidio: infatti sono accusati anche di aver provocato la morte del tecnico Antonio *******, inscenando un finto incidente sul lavoro: molto probabilmente il poveretto voleva togliersi dalla banda e denunciare i compari.
Teo lesse l'articolo ad alta voce, mentre io ero intento a ingurgitare la mia solita colazione. Terminata la lettura, Teo prese il cappuccino e lo sorseggiò con calma.
Il bar della bocciofila era ancora deserto, l'unico tavolino occupato il nostro.
Feci un lungo sbadiglio. Avevamo passato l'intera nottata a smontare il nostro piccolo allestimento scenico che aveva contribuito a dar vita al fantasma del Borgatti: era bastata una piccola carrucola, uno straccio nero (che avevamo trovato nella nostra stanza segreta) e un generatore di nebbia artificiale comprato su internet. Poi Teo con la sua consueta abilità informatica si era introdotto nell'impianto audio del Teatro.
I ladri erano stati tanto indaffarati a preparare il colpo che non si erano minimamente accorti di quello che avevamo preparato io e Teo.
Certo, se ci penso forse sarebbe bastata una semplice telefonata ai Carabinieri ma all'epoca eravamo ancora ragazzini e vivemmo quegli avvenimenti come una spericolata avventura. Non che ora io e Teo siamo diventati più pragmatici...anzi.
Epilogo
Alcune piccole note a margine: alla fine il povero Antonio nulla aveva a che fare ovviamente con quanto accaduto, si era messo in testa di ricattare quei criminali, una volta scoperte le loro intenzioni. I componenti della banda, ormai alle strette, avevano ammesso le proprie responsabilità di quel delitto.
La nostra stanza segreta - che anora oggi non ha un nome ben preciso - è ancora là sotto, con il passare delle settimana io e Teo apportammo delle migliorie… che magari vi racconterò nel prossimo libro.
Fine